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L'albero della cuccagna. Nutrimenti dell’arte: Marco Bagnoli - La Voce. Nel giallo faremo una scala o due al bianco invisibile

dal 09 ottobre 2015 al 29 febbraio 2016

           

MUSEO D'ARTE DONNA REGINA - Via Luigi Settembrini 79 – (Na)

                  

Dall’inizio degli anni Settanta la pratica artistica di Marco Bagnoli (Empoli) si articola fra disegno, pittura, scultura, installazione ambientale e sonora,

unendo fra loro, in una pervasiva sintesi, dato estetico ed enunciato scientifico, teorie della visione e del colore e ricerca iconologica, antichi saperi e una sospesa, mobile esperienza dello spazio e del tempo, in cui l’opera esplora la ramificazione del pensiero fino a divenire matrice di conoscenza, sia razionale che intuitiva.

L’intervento di Marco Bagnoli al museo Madre di Napoli, intitolato La Voce. Nel giallo faremo una scala o due al bianco invisibile, rientra nell’ambito del progetto L’ALBERO DELLA CUCCAGNA. Nutrimenti dell’arte, a cura di Achille Bonito Oliva e con il patrocinio di EXPO Milano 2015, che sarà presentato in simultanea su tutto il territorio nazionale il 10 ottobre, in occasione della XI Giornata del Contemporaneo AMACI-Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani, articolandosi in vari interventi presso musei pubblici e fondazioni private. Il progetto di Marco Bagnoli al Madre ha ricevuto inoltre il supporto di Seda International Packaging Group. Una prima versione dell’opera La Voce fu realizzata dall’artista nel 1974-75, nella forma di una scala a pioli incastrata nel muro del suo studio-abitazione milanese, attraversandolo diagonalmente: “scendendo e ascendendo”, l’opera stabiliva un arco lineare e un ponte ideale rivolto “all'empireo” (Germano Celant) quanto al terrestre, all'immateriale quanto al materiale, coniugando esperienza fisica e dimensione metafisica: i pioli della scala si allontanavano e si avvicinavano secondo un diagramma prospettico in tralice, una scala di toni armonici, di frequenze convergenti verso un punto visivo esterno e all'infinito. Nella successiva versione realizzata in ferro, la scala si appoggiava invece su un unico punto, che rendeva l'ascensione oggettivamente instabile, ma simbolicamente solida per l’utilizzo di un materiale come il ferro. Allestita da Adachiara Zevi nel 2009 presso gli scavi di Ostia Antica, La Voce assunse occasionalmente il simbolo della scala di Giacobbe disegnando ai lati 72 nomi di angeli. Nella nuova versione presentata al Madre, l’opera cambia nuovamente conformazione, sviluppandosi dall’interno della sala collocata nel secondo cortile del museo, fino a travalicarne il tetto ed espandersi nell’ambiente esterno. Appoggiata sul dispositivo luminoso di una "macchina stanca", come scrive l’artista, la voce è emessa da un’ampolla e si dilatata in un riverbero sonoro che confluisce, attraverso il prolungarsi della raggiera dei pioli della scala, in un punto esterno alla stanza, dove è disposto il Sonovasoro (“sono vaso oro”, o “vaso sonoro”). Il testo emesso dall’opera è costituito, in relazione al tema della mostra L’ALBERO DELLA CUCCAGNA. Nutrimenti dell’arte, dal “menù di un pasto napoletano, scandito secondo un ordine matematico e combinatorio di pietanze che, alla fine, prolifera senza sosta: ogni parola è un lampo” (Marco Bagnoli). Alcune fra le più prestigiose istituzioni museali italiane e internazionali hanno dedicato all’artista mostre personali, fra cui il Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli-Torino (2000, 1992), l’IVAM di Valencia (2000), il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato (1995), il Magasin-Centre National d’Art Contemporain di Grenoble (1991), il Museo d’Arte Contemporanea di Lione (1987), il Centre d’Art Contemporain di Ginevra (1985), il De Appel di Amsterdam (1984, 1980). Insieme alla partecipazione a X Biennale de Paris, Parigi (1976), Biennale di Venezia, Venezia (1982, 1993, 1997), Documenta, Kassel (1982, 1992) e Sonsbeek, Arnhern, (1986), l’artista è intervenuto, con opere site specific, in luoghi di eccezionale valore artistico e architettonico come, fra gli altri, la Cappella dei Pazzi, la Sala Ottagonale della Fortezza da Basso, la Chiesa di San Miniato al Monte e il Giardino di Boboli a Firenze, o le sale del Palazzo Pubblico a Siena.

                                          

MADRE - MUSEO D'ARTE DONNA REGINA

Via Luigi Settembrini 79 - Napoli

Per info:

Tel.: +39 081.19.31.30.16

Web-site: www.museomadre.it

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CAM MUSEUM is home to TACHELES BERLIN

dal 09 ottobre 2015 al 29 febbraio 2016

 

CAM - Via Duca D'Aosta 63a- Casoria (Na)

 

Riconquistato lo spazio espositivo, il Museo CAM continua la rivoluzione dell’arte e offre l'asilo politico/culturale al centro artistico Tacheles di Berlino chiuso a settembre 2012 dalle autorità tedesche. Anche la Germania, che detiene il potere economico dell’Europa, conferma la propria sottomissione alla finanza e alle banche a scapito della cultura. Continua la rivoluzione del museo CAM e del suo direttore Antonio Manfredi contro la drammatica situazione degli spazi culturali, in Italia e nel mondo. Il museo CAM, iniziatore e capofila della protesta, continua la propria battaglia in difesa di un bene comune, e risponde all'appello degli artisti della Tacheles Kunsthaus di Berlino sostenendoli e offrendo asilo nei propri spazi espositivi.

Dopo la richiesta di asilo politico/culturale fatta alla Germania con una lettera ad Angela Merkel nel 2011, il CAM si offre esso stesso come luogo di “rifugio” per le opere degli artisti dello storico spazio berlinese e dedica permanentemente una sala dei suoi spazi agli esuli tedeschi. La Tacheles, il centro d’arte internazionale gestito da artisti nel cuore della capitale tedesca attivo fin dal 1990 all’indomani della caduta del muro di Berlino, che aveva ospitato la grande mostra, Maybe, proprio del museo CAM, è stata infatti costretta a chiudere definitivamente a settembre 2012 dalle autorità tedesche. Al suo posto sorgerà un centro commerciale cancellando decenni di storia e di vivacità culturale. Proprio contro queste situazioni si è scatenata la rivoluzione dell'arte, CAM Art War, che, dal CAM, ha coinvolto innumerevoli artisti e istituzioni culturali internazionali, ed ha fatto esplodere la polveriera del malcontento del mondo dell'arte. Abbandonati a se stessi dalle istituzioni e spesso costretti ad interrompere le proprie attività per mancanza di fondi, i luoghi della cultura e gli addetti al settore lanciano un appello accorato per la sopravvivenza attraverso una rivolta pacifica; CAM Art War e l'asilo politico/culturale offerto dal CAM è un forte segnale di solidarietà ed un ennesimo gesto di protesta. 

                                        

CAM - CASORIA CONTEMPORARY ART MUSEUM

Via Duca D'Aosta 63a- Casoria (Na)

 

Per info:

Tel.: +39 081.75.76.167

Web-site: www.casoriacontemporaryartmuseum.com

E-mail: info@casoriacontemporaryartmuseum.com

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Maxime Rossi - It's a zodiac rain

dal 18 dicembre 2015 al 27 febbraio 2016

 

GALLERIA TIZIANA DI CARO - Piazzetta Nilo 7 - Napoli

 

Sono passati due anni da Kemosabe, prima mostra personale di Maxime Rossi in Italia, che si tenne nello spazio salernitano e che dedicava una serie di opere (fotografie, sculture, performance) a Max Ernst, le cui suggestioni Rossi ha avuto modo di esplorare durante un viaggio in Arizona, luogo che dal 1941 al 1953 ospitò l'artista tedesco in fuga dall'Europa e dalla guerra, dove egli realizzò alcuni dei suoi più importanti capolavori.

Perpetrando in un metodo che consiste nella collaborazione con artisti e artigiani del presente e del passato, Maxime Rossi sviluppa una ricerca di rimandi curiosi, in cui le opere svelano precise storie.  Il tempo ed il passaggio costante dal passato al presente e vice versa rappresentano la linea su cui l'artista francese elabora il suo lavoro. It's a zodiac rain sembra voler riprendere il discorso là dove è stato sospeso due anni fa. Ruotando ancora una volta su Max Ernst, la mostra include due film, una serie di fotografie e un altro gruppo di opere già incluse in Kemosabe, che rappresentano una sorta di déjà-vu della mostra salernitana, che funge da collegamento tra i due momenti. Two owls on a mountain … and a snake at the bank inquadra una macchina che attraversa l'inconfondibile paesaggio del Canyon. Non si hanno tanti elementi per capire che a guidare l'auto è Max Ernst e ad accompagnarlo è Dorothea Tanning; i due stanno attraversando l'America da est ad ovest e una volta giunti tra le colline rocciose, Ernst realizza che quei paesaggi che lui credeva di aver inventato, che per tanti anni aveva immaginato e dipinto, nella realtà esistevano, decidendo di fermarsi a vivere lì, in un rifugio Hopi scavato nella roccia. Quest'ultimo è il soggetto di una serie di fotografie in 3D, in cui esso è descritto dettagliatamente attraverso precisi particolari, alcuni dei quali sono inequivocabilmente legati a Ernst. Le foto fanno sì che il visitatore possa approdare al fulcro del progetto, il film in 3D Real estate astrology (Astrologia immobiliare) del 2015. Il titolo è tratto da una pratica che consiste nell'utilizzare l'astrologia al fine di scegliere una casa ed è molto utilizzata a Sedona, città che nel tempo è divenuta un centro importante per la pratica New Age. Seguendo i passi di Max Ernst a Sedona, Maxime Rossi esplora il particolare paesaggio dell'Arizona e l'incantevole aspetto del suo deserto esteso e roccioso, che ha profondamente segnato lo spirito ed il lavoro dell'artista in esilio. Mentre le immagini descrivono i luoghi, la voce di un astrologo ci guida attraverso queste architetture individuate servendosi di calcoli stellari, per poi fare il punto su Ernst, il quale ci viene raccontato attraverso il suo quadro astrologico (quello di Andrè Breton, menzionato all’inizio del film, non era corretto, poiché calcolato con 30 minuti di differenza rispetto alla reale ora di nascita di Ernst, per questo motivo è stato rettificato successivamente).  Maxime Rossi, servendosi dell'astrologia e della tecnologia 3D, ci offre un viaggio in cui il misticismo non si sostituisce, ma si aggrega alla storia, ponendosi sul medesimo piano in un ordine di intenti. Real estate astrology rivela la sua complessità anche dal punto di vista tecnico, infatti, è stato editato da due diverse persone, che hanno lavorato in modo separato producendo due diverse sequenze, una per l’occhio destro e l’altra per l’occhio sinistro. L’utilizzo degli occhiali 3D, che sono blu e rossi, enfatizza i colori del paesaggio descritto nel film (dove le rocce appaiono senza blu e rosse). Ancora una volta Maxime arricchisce il suo lavoro di molti significati, coinvolgendo diverse persone, idee ed energie, lasciando che il visitatore si sposti da un tema ad un altro in una esperienza di eterni rimandi alle volte magici.

 

GALLERIA TIZIANA DI CARO

Piazzetta Nilo 7 - Napoli

Per info:

Tel.: +39 081.552.55.26

Web-site: www.tizianadicaro.it

E-mail: info@tizianadicaro.it

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Paradox Transformations

dal 15 dicembre 2015 al 20 febbraio 2016

 

FONDAZIONE MONDRAGONE - Piazzetta Mondragone 18 - Napoli

 

Paradox Transformations è ospitata, dal 15 dicembre 2015 al 20 febbraio 2016, presso la sede della Fondazione Mondragone di Napoli, Istituto di Alta Cultura e Organismo di Formazione e di Orientamento della Regione Campania, Museo del Tessile e dell’Abbigliamento “Elena Aldobrandini”. In mostra una ventina opere realizzate tra gli anni ’90 e il 2015, opere su tela e lavori scultorei che prendono forma nell’azione, nell’atto fisico della creazione, affrontando la relazione tra l’astrazione e lo spazio umano. Interessato alla ricerca spaziale degli anni ’60, e testimone dell’esperienza dell’Azionismo Viennese nella sua attitudine più gestuale ed immediata, Polanszky sviluppa un linguaggio intimo, criptico a volte, dando ai suoi gesti, forma e tempo dissociativi a partire dall’impiego di materiali di scarto. L’approccio dell’artista si compie nel tentativo di analizzare gli elementi fondamentali del linguaggio creativo: spazio, luce, colore, ritmo. Intendendo la pratica creativa come genuina espressione cognitiva, il non-sapere intellettuale genera il fare artistico, che diviene un tentativo per conoscere l’incognito. Le sculture dell’artista, in particolare, si compongo di una serie di elementi ricorrenti,

come l'acciaio, il legno, il plexiglass, piume, schiuma, colori, riflessi, precarità, memoria. Uniti fra loro, questi elementi tracciano la forma del vuoto, espressa in una idiosincrasia verso la gravità. La stessa tensione si ritrova nelle tele dell’artista, veri e propri bassorilievi che esaltano le proprietà dei materiali. Il lavoro e le intenzioni dell’artista si evolvono, così, insieme con la ricerca concettuale, concentrata sullo statuto dell’opera d’arte, la sua definizione e la sua percezione. La pratica di Polanszky chiarisce la discordia tra teoria ed esperienza della vita reale: come la prima possa porre dei limiti alla rinuncia all'espressione personale per una molteplicità di possibili ragioni: il bene di un paradigm dato, paura, mancanza di fantasia o fallito mimetismo. Le pratiche teoriche richiedono conformità e Polanszky ci mostra come una routine di lavoro rischi di diventare una necessità, in quanto diventa un obiettivo, mentre l’artista permette all'arte di violare le convenzioni, creare le proprie regole e vivere con essa. Mantenendo come orizzonte il pensiero sullo spazio, Polanszky manipola in questo modo la materia fino ad arrivare al vuoto, fino a preferire i processi alle forme, le idee alle realizzazioni, la vista al tatto, il vuoto, il silenzio, l’assenza. Ogni opera è a sua volta, quindi, una metafora, un mito condensato, una stratificazione di esperienze e simboli investiti della sua stessa interiorità.

 

FONDAZIONE MONDRAGONE

Piazzetta Mondragone 18 - Napoli

Per info:

Tel.: +39 081.49.76.104

Web-site: www.fondazionemondragone.it

E-mail: istmondragone@virgilio.it

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Emilio Notte - Un pittore futurista a Napoli

dal 17 dicembre 2015 al 17 febbraio 2016

 

Banca Fideuram - Palazzo Partanna - Piazza Dei Martiri 58 - Napoli

 

L’esposizione, che sarà inaugurata presso la sede della banca alle ore 18.00 del 17 dicembre p.v., comprende 16 tele ad olio di medie e grandi dimensioni: un esaustivo excursus nella produzione del pittore dagli anni ’40 agli anni ’70. Emilio Notte (Ceglie Messapica 1891 - Napoli 1982) sin dalla più giovane età visse e si formò in Campania, ed, in particolare, a Napoli, dove, sotto la

guida dell’allora direttore dell’Accademia delle Belle Arti, Vincenzo Volpe, iniziò a muovere i primi passi nell’ambiente artistico napoletano. Ambiente che, nonostante i suoi personali spostamenti - prima a Prato, poi a Roma - continuerà assiduamente a frequentare ed animare, anche grazie alla sua eclettica capacità di cambiare direzione e stile artistico. Esporre Emilio Notte a Napoli, quindi, significa non solo accendere ancora una volta i riflettori sulla fiorente e validissima produzione artistica del nostro, ma, anche e soprattutto, sottolineare, proprio nel cuore del centro nobile di Napoli, lo stretto legame di Notte con la nostra città. L’esposizione durerà sino al 17.02.2016, accompagnando i clienti dell’Istituto Bancario non solo per tutte le festività natalizie, ma anche nelle prime settimane del nuovo anno. Ed è proprio per il sentito intento di rendere la sede di Piazza dei Martiri un vero e proprio centro per la riscoperta e la rivalutazione dell’arte contemporanea - anche nella sua evidente valenza di bene rifugio nella difficile odierna compagine socioeconomica -, che Franco Riccardo (gallerista ed editore d’arte contemporanea di fama internazionale), ha valuto accettare l’invito della direzione della filiale a programmare una serie di mostre all’interno dei prestigiosi locali di Piazza de i Martiri. Esposizioni che si snoderanno lungo tutto il corso del 2016.

 

BANCA FIDEURAM - PALAZZO PARTANNA

Piazza Dei Martiri 58 - Napoli

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Anri Sala

dal 18 dicembre 2015 al 13 febbraio 2016

 

Galleria Alfonso Artiaco - Piazzetta Nilo 7 - Napoli

 

Lo show si apre con l’opera No Window No Cry (Luigi Cosenza, Fabbrica Olivetti; Pozzuoli), 2015. Un’installazione originale che si presenta composta da un piccolo carillon musicale inserito all’interno di una finestra della fabbrica Olivetti, progettata nel 1951 dall’architetto Luigi Cosenza, a Pozzuoli. La leva che attiva il carillon invita lo spettatore a far risuonare la famosa melodia del 1981 dei Clash “Should I Stay or Should I Go”. 

Questa scultura allude al soundtrack di un film di Anri Sala, Le Clash del 2010, e allo stesso tempo vuole mettere in discussione il confine tra la finzione e la realtà al di fuori dello schermo. Nella stanza successiva, il visitatore incontra una nuova scultura: un "oggetto sonoro" che si presenta come un tamburo rullante gioco di una natura morta, appesa su di esso. La premessa visiva e la struttura della disposizione dei quattro crani sospesi in Still life in the Doldrums (Don’t explain), 2015 richiama chiaramente l’opera di Paul Cezanne Piramide di Teschi. Lo storico dell’arte Francoise Cachin descrive i disegni di Cezanne del 1901 come “una disposizione molto assertiva e decisamente in contrasto con il più usuale tableau di vita domestica di allora.” Gli scheletri nell’opera di Sala si ripropongono con la stessa disposizione di quelli del dipinto di Cezanne e sono stati successivamente ridipinti a mano replicando lo stesso colore dei primi. I teschi vengono suonati da bacchette scolpite come fibule umane ad un estremo e dall’altro come consuete teste di bacchette e sono bilanciate in modo che nei punti più vigorosi del pezzo riescano a suonare sia il tamburo che la parte inferiore dei teschi. Così come in tutti i Doldrum di Sala, le bacchette sono attivate e rispondono solo ad un’azione acustica che fa conseguentemente vibrare la pelle del tamburo. Questo lavoro ha una colonna sonora nonché una linea di bassa frequenza che Sala ha costruito affinché le bacchette rispondessero in seguito. La colonna sonora unisce brevi sezioni di un arrangiamento musicale prodotto per i primi cartoni animati di Tom & Jerry, composti da Scott Bradely (1940-1958), con altrettanto brevi brani strumentali della canzone “Don’t explain” della famosa cantante jazz Billy Holiday (1946) così come della versione cover cantata da Nina Simone (1964). Sebbene l’audience del cartone animato potrebbe essere completamente diverso dall’audience della musica jazz, entrambe le colonne sonore sono contemporanee tra di loro. Aggiungendo un altro possibile livello di lettura, il jazz emerge intorno al volgere del secolo, coincidendo quindi temporalmente con l’esecuzione stessa della Piramide di teschi di Cezanne. Continuando il percorso attraver so le stanze della galleria, il visitatore incontra Moth in the Doldrums, 2015, un lavoro che si presenta come un paio di tamburi rullanti: uno posizionato a terra sul pavimento, mentre il secondo è sospeso al soffitto della stanza successiva. Il suono riprodotto da questi strumenti è quello di Overtone Oscillations, 2015, una performance presentata all’inizio di questo anno da Anri Sala al Barbican di Londra. In questo lavoro, Sala fonde due celebri melodie “l’Internazionale”, altrimenti conosciuta come l’inno dei lavoratori e la “Marsigliese”, inno nazionale francese. Prima che Pierre Degeyter componesse “l’Internazionale” nel 1888 con la musica attualmente in uso, per diciassette anni il testo è stato interpretato con la melodia della “Marsigliese”, cosa che spiega le affinità tra i due pezzi. La fusione vocale di entrambe le canzoni è stata qui resa possibile dalle straordinarie capacità di una cantante ipertono che riesce a cantare e fondere due toni nello stesso momento. In questo lavoro, la voce della cantante si divide in due – ipertono e fondamentale – ognuno riproduce il corrispettivo sul tamburo. Il rullante sospeso suona gli ipertoni, mentre le sue stesse bacchette rispondono con le basse frequenze dei fondamentali. Lo speaker nascosto all’interno del secondo rullante a terra suona invece i fondamentali, mentre le bacchette rat-tat-tat vengono innescate dagli ipertoni. In questo modo la struttura che la cantante crea con la sua stessa voce è ora divisa all'interno della coppia del tamburo stesso, lasciando il visitatore oscillante tra i due. I lavori su carta intervallano le sculture sonore. Lines recto verso (Jung, Huxler, Stravinsky), 2015 e Lines recto verso (Afif, Sala, Flavien), 2015 sono la riproduzione di tre differenti linee di palmi della mano. Ogni gruppo di persone è tra loro contemporaneo e tutti i personaggi citati lavoravano solo con la mano sinistra (chiaro riferimento quest’ultimo al video Ravel Ravel, 2013 dove due interpretazioni del concerto per piano per mani sinistra di Ravel venivano suonate ed ascoltate contemporaneamente una sull’altra). Tecnicamente, questo lavoro è stato eseguito prima sul retro del foglio, sfruttando la mezza trasparenza della carta, dopodiché il fronte del lavoro viene aggiunto, dando al disegno l’aspetto di un affresco, dove i colori sembrano quasi emergere dalla superficie stessa. Lines recto verso (Jung, Huxley, Stravinsky) è stato composto dall’intersecazione delle linee dei palmi delle mani di Carl Gustav Jung, Igor Stravinsky e Adolf Huxley: mentre Stravinsky era un caro amico di Huxley, al quale ha anche dedicato la sua ultima opera orchestrale, Huxley e Jung hanno analizzato entrambi, seppur in maniera differente la nozione di inconscio. Lines recto verso (Afif, Sala, Flavien) è stato creato con il palmo stesso della mano di Sala con quella di altri due artisti, Saadane Afif e Jean-Pascal Flavien, amici stretti di Sala, tutti residenti a Berlino. Citando l’artista:  Untitled (Boa Antartica/Italia), 2015 è invece un nuovo lavoro che si inserisce in una serie di disegni iniziati da Sala nel 2014, intitolati “Untitled” (mappe/specie). In questa serie Sala rielabora le mappe di diversi paesi e i rispettivi territori geopolitici attraverso una manipolazione manuale, inclinando e deformando la massa di terra così che possa inserirsi nei confini stessi del disegno. Untitled (d’apres Cezanne), 2015 è invece una fotografia raffigurante l’ombra di quello che si può identificare come un gruppo di teschi fluttuanti su uno sfondo chiaro. Questo lavoro fotografico anticipa in un certo senso, nello spazio della galleria il lavoro esposto nella stanza a seguire. Percorrendo la mostra, si avverte una forte risonanza e riverbero all'interno e tra le opere stesse. Volendo seguire questa stessa linea di rimandi, un’altra finestra No Window No Cry è installata nella ex fabbrica Olivetti, riportando l’opera al suo contesto originario. Le opere, quando messe in dialogo, sotto forma di coppie uguali o distinte, creano una risonanza ancora più profonda e invitano lo spettatore a raccogliere nuove idee, facendo eco ad ulteriori differenti tematiche.

 

 

Galleria Alfonso Artiaco

Piazzetta Nilo 7 - Napoli

Per info:

Tel.: +39 081.552.55.26

Web-site: www.alfonsoartiaco.com

E-mail: info@alfonsoartiaco.com

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Cristiano Carotti - REDUX

dal 16 dicembre 2015 al 6 febbraio 2016

 

AL BLU DI PRUSSIA - Via Gaetano Filangieri 42 - Napoli

 

The war is over è il titolo di un’opera di Cristiano Carotti, del 2013, nella quale l’artista ha sentito (forse) per la prima volta l’urgenza di porre fine alle ostilità, con se stesso e con la sua arte. Sarà perché la sua creatività esplode - sempre - con la furia di un vulcano, sarà perché tutti nella vita aspiriamo a momenti di pace e di tranquillità, ma è un dato di fatto che nel progetto espositivo “Redux” Cristiano Carotti sembra rassegnarsi alla calma, preda di quel silenzio ovattato, quasi surreale, che intorpidisce anche gli animi più ribelli. Ma la guerra è davvero finita? O siamo di fronte a una pace armata? Il silenzio dei bombardamenti è ancora assordante, i dipinti “esplodono” di colore sulle pareti scure raccontano attraverso la gestualità materica quanto è accaduto nel suo fervido immaginario,

le azioni militari e le gesta dei caduti sul campo. L'’allestimento, pensato per trasmettere una sensazione diffusa di empatia e immersività, trasforma gli spazi della galleria in un memoriale postatomico, da percorrere in religioso silenzio, con l’animo aperto a ritrovare il sentimento smarrito della solidarietà tra gli uomini. L’imponente tavola Explosion n. 1 coglie l’attimo della deflagrazione, proietta lampi di colore in tutte le direzioni, descrive il collasso che anticipa la catastrofe; le fanno eco Explosion n. 2 e Explosion n. 3, due funghi atomici turbinosi che si innalzano nel cielo infuocato. Anche la natura tuona, erutta il vulcano di Vesuvio sullo sfondo di un cielo sereno tinto di speranza. Al centro l’imponente Black Swallow-V14, la gondola armata che porta sullo scafo i segni della battaglia combattuta all’ultima Biennale di Venezia, per spronare il sistema dell’arte a ritrovare quella passione d’amore che non sottostà alle leggi del mercato, ma che ci spinge a salvaguardare - anche con l’uso delle armi - la nostra umanità. Costruita con il contributo della galleria Al Blu di Prussia in collaborazione con All Around Art, Black Swallow-V14 è il nucleo dell’esposizione napoletana. Vicino c’è Redux - busto in gesso policromo a penna blu e matita, realizzato con tecniche ortopediche e dipinto a mano con l’affettuosità di un amico che scarabocchia l’ingessatura per abbellirla - sopravvissuto alla guerra, ferito e segnato da cicatrici indelebili. Redux rappresenta la battaglia dell’uomo per la vita, mossa dalle passioni e dall’amore, e sancisce l’unione simbolica della frattura tra le immagini archetipiche e le iconografie ispirate allo junghiano “Sè cosciente”: infatti, proprio il ritratto di C. G. Jung, veglia sulla battaglia. L’universo psichico di Jung ispira anche Uragano. Sulla maschera, calco del volto dell'artista, è dipinta un’arpia simbolo dell’anima per Jung: l’anima è sia l’ondina (o la sirena), che col canto attrae il marinaio nell'abisso, sia la forza che lo trattiene sulla barca. La risultante di questi due opposti salva l’uomo dalla più mortale delle sue attitudini, la pigrizia. Ovvero la rinuncia a reagire alla sopraffazione. Cristiano Carotti ci ricorda che abbiamo ancora tempo per coltivare la pace, interiore e universale. Al grido di “Mettete dei fiori nei vostri cannoni” lui risponde All colors are beautiful, ornando il casco antisommossa di un celerino con rose variopinte e motivi floreali espressionisti. Ma, allora, cosa vuole comunicarci? Di stare in guardia, che la guerra non è finita. Il conflitto è fuori e dentro di noi, sempre. La scontro è latente, subdolo e inconscio. The war isn’t over. Anche Cristiano Carotti è un reduce di questa guerra per “la grazia dei nostri cuori”. Quindi, Lazarus, alzati e cammina!

 

AL BLU DI PRUSSIA

Via Gaetano Filangieri 42 - Napoli

 

Per info:

Tel.: +39 081.409.446

Web-site: www.albludiprussia.com

E-mail: info@albludiprussia.com

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Boris Mikhailov - Io non sono io

dal 13 novembre 2015 al primo febbraio 2016

 

MADRE - MUSEO D'ARTE DONNA REGINA - Via Luigi Settembrini 79 - Napoli

 

La mostra al Madre, organizzata in collaborazione con Incontri Internazionali d’Arte e Polo museale della Campania, Villa Pignatelli- Casa della fotografia, segue e integra la retrospettiva che, nell’autunno del 2015, sarà dedicata all’artista da Camera-Centro Italiano per la Fotografia di Torino. A Napoli la mostra approfondisce in particolare il tema del ritratto e dell’autoritratto e quindi la matrice intimamente biografica di tutta la sua ricerca, in cui sono esplorati i temi della disintegrazione identitaria, dell’oppressione sociale, della povertà iniqua, dell’inermità del corpo, dell’abbandono e della solitudine in una situazione sospesa fra guerra e pace, così come l’inesauribile e insopprimibile ricerca della verità umana nelle pieghe del reale, temi che riecheggiano, attraversando i confini dello spazio e del tempo, la grande pittura barocca napoletana, come nelle tele del grande pittore spagnolo

Jusepe de Ribera (Xàtiva, 1591-Napoli, 1652), alcune delle quali saranno accostate in mostra, in un inedito confronto, alle opere fotografiche dell’artista. Evocando inoltre anche altre possibili relazioni, come l’interesse per i “vinti” della pittura e della fotografia ottocentesca (come nelle opere della “Scuola di Resina”), fino alla ricerca di responsabilità personale e civile delle avanguardie storiche del primo Novecento, la mostra ci restituisce una galleria di ritratti e autoritratti al contempo disturbanti quanto universali nella loro urgente richiesta di dignità personale e collettiva. In occasione della mostra sarà disponibile un nuovo libro d’artista, la più estensiva pubblicazione dedicata ad oggi alla ricerca di Mikhailov, pubblicata da Camera-Centro Italiano per la Fotografia di Torino e Walther Koenig Verlag, con il supporto del museo Madre di Napoli. A partire dagli anni Novanta, quando la sua ricerca sarà presentata anche in Occidente, alcuni dei più importanti musei del mondo hanno dedicato a Mikhailov ampie retrospettive, fra cui MoMA-Museum of Modern Art, New York (2011), Sprengel Museum, Hannover (2011, 2007, 1998), Kunsthalle Wien, Vienna (2010), Moscow Contemporary Art Center, Mosca (2008), Centre de la Photographie, Ginevra (2005), Institute of Contemporary Art, Boston, Centrum Sztuki Wspolczesnej Zamek, Varsavia (2004), Fotomuseum, Winterthur (2003), Haus der Kulturen der Welt, Berlino, Bild Museet, Umea, Orchard Gallery, Derry, The Photographic Museum, Helsinki (2001), Museum of Modern Art, Lubiana, Centre National de la Photographie, Parigi (1999), Stedelijk Museum, Amsterdam (1998), Kunsthalle Zürich, Zurigo, SCCA-Soros Center of Contemporary Art, Kiev (1997), Portikus, Francoforte, The Institute of Contemporary Art, Philadelphia (1995), Museum of Contemporary Art, Tel Aviv, List Visual Arts Center, MIT, Cambridge (1990).

 

MADRE - MUSEO D'ARTE DONNA REGINA

Via Luigi Settembrini 79 - Napoli

 

Per info:

Tel.: +39 081.19.31.30.16

Web-site: www.museomadre.it

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Il Giovane Salvator Rosa.

dal 7 novembre 2015 al 31 gennaio 2016

 

MUSEO CORREALE DI TERRANOVA - Via Correale 5 – Sorrento

 

L’iniziativa celebra i quattrocento anni della nascita dell’eclettico artista (Napoli 1615 - Roma 1673) che fu pittore ma anche un apprezzato poeta e incisore. Grande innovatore della pittura di veduta, la fama di Salvator Rosa è legata alla rappresentazione di paesaggi e marine caratterizzati da una natura aspra e selvaggia. 

La mostra pone particolare attenzione agli inizi del suo percorso artistico, svoltisi negli anni Trenta del Seicento tra Napoli, sua città natale, e Roma. Il Museo Correale fa da cornice ad una piccola quanto preziosa selezione di circa venti olii su tela, provenienti da collezioni private e da cinque collezioni museali italiane (Museo di Capodimonte, Museo di San Martino, Museo Correale, Museo Filangieri, Galleria Corsini), alcuni mai esposti al pubblico. Tra le opere in mostra merita nota la Marina con pescatori, custodita proprio nel museo sorrentino, forse la sua opera più precoce ad oggi conosciuta ed emblematica della fase giovanile del pittore. L’omaggio alla pittura di Salvator Rosa voluto dal Museo Correale – piccolo gioiello sorrentino che raccoglie raffinate collezioni d’arte nella splendida dimora nobiliare che fu dei Conti di Terranova – celebra anche il fascino della città di Sorrento e i suoi paesaggi, tappa di quel Grand Tour che dal Seicento non ha mai smesso di educare il mondo all’arte e alla bellezza italiana.  Una innovativa sezione di disegni documenta parallelamente lo stile grafico di Rosa, uno dei grandi disegnatori del Barocco italiano, illustrandone l'eredità e lo scambio dialettico con quei maestri coevi fondamentali per comprenderne il linguaggio: Ribera, Falcone, i due fratelli Fracanzano, Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro. Un apparato didattico multimediale riproducente anche opere necessarie al confronto e riproduzioni di disegni rapportabili alle opere esposte guidano il pubblico alla scoperta di uno dei più celebri artisti del Seicento europeo. L’evento, curato da Viviana Farina, esperta di pittura e disegno napoletano di Sei e Settecento e già autrice del volume Il giovane Salvator Rosa. 1635-1640 circa (2010), si avvale della consulenza scientifica di Stefan Albl (Biblioteca Hertziana, Roma), Catherine Loisel (Musée du Louvre, Parigi), e Nicholas Turner (già British Museum, Londra e Getty Museum, Los Angeles).

 

MUSEO CORREALE DI TERRANOVA

Via Correale 5 – Sorrento (Na)

Per info:

Tel.: +39 081.878.18.46

E-mail: museocorreale1@virgilio.it

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Scene di quotidiana Follia

dal 12 dicembre 2015 al 30 gennaio 2016

 

Fiorillo Arte - Riviera Di Chiaia 23 - Napoli

 

Luciano Lauro Luciano Lauro è un poeta dell'animo,attraverso la sua pittura fortemente espressiva,i sui personaggi vivono la "follia" dell'esistere,pur conservando la speranza di un riscatto.La cromaticità e il disegno con cui esprime i suoi sentimenti rivelano sensibilità alle angoscie dei nostri tempi. Marina Lauro Marina Lauro è sempre stata affascinata dal sentimento dell'arte espresso attraverso la pittura.

Ha dipinto la "sua Napoli" dapprima in maniera classica e poi volendo dissacrarne la 'stereotipicità' della rappresentazione,in maniera dolcemente grottesca e ironica. Il Vesuvio con i suoi beneauguranti cornetti e la sua "mela napoletana" - contenitri di tutto il simbolismo partenopeo - rivelano verso la sua città amore e denuncia.

 

FIORILLO ARTE

Riviera Di Chiaia 23 - Napoli

Per info:

Tel.: +39 081.409.446

Web-site: www.fiorilloarte.com

E-mail: 3f.arte@gmail.com

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Maya Pacifico - Diaries

dal 27 novembre 2015 al 29 gennaio 2016

 

BRUSCO ART GALLERY - Via Napoli 161/163/165 – Pozzuoli

 

La mostra dell'artista e critica napoletana celebra l'apertura dell'Art Gallery di Brusco Wine & Audio Room, un inedito ed esclusivo locale, dedicato all'arte e all'intrattenimento di alta classe, un luogo unico dal concept innovativo e dall'arredamento che richiama le tendenze dell’industrial design, speciale per la scelta eno-gastronomica raffinata, e per le proposte musicali, che ospiterà inoltre eventi culturali diversi, proposti in un elegante salotto affacciato sul mare. La nuova Brusco Art Gallery, curata da Tiziana De Tora – Artstudio'93, si è inaugurata con il ciclo di mostre, intitolato “Pagine d'artista” e non poteva che essere Maya Pacifico ad aprire questa rassegna. Un'artista che da tempo dedica la sua ricerca alla manipolazione di pagine di vecchi libri, che vengono tagliati, sfrangiati, smembrati e bruciati e che, infine, divengono supporto perfetto per interventi testuali inediti.

Artista visiva da alcuni anni, ma con una lunga carriera di critica e storica dell'arte, Maya Pacifico ha scelto il libro vecchio, ingiallito, sbiadito dal tempo, per offrirgli una nuova identità, non solo come supporto, ma quale protagonista della sua opera, per far riemergere la memoria che esso custodisce. Le sue opere, come lei stessa dichiara, non sono pittura né scultura; potremmo invece definirle “estrusioni”, nelle quali le pagine dei libri, ritagliate in piccole strisce mobili, escono dalla parete cartacea, per muoversi come onde al vento, oppure vengono intervallate da antiche foto o garze sovrapposte, su cui scrivere testi di sua creazione, come la stessa artista afferma: “Le frasi, intime e personali, che ho scritto nei diari, nel corso della mia vita, rimandano ai frammenti racchiusi nei libri bruciati: la loro reale presenza non coincide con il loro bruciante apparire. Ma lo spettatore che le legge può identificarsi in ciò che contengono molto di più che se leggesse un libro, perché non c'è la finzione letteraria, non c'è artificio: è la vita reale, ciò che l'artista ha vissuto e sofferto che viene alla superficie, che diventa pubblico (…) Quello che cerco di ottenere attraverso queste due forme, una scritta e l'altra costruita, è un momento di contrazione della realtà in cui l'atto dell'artista riesca a sintetizzare il dualismo fuori-dentro, esterno-soggetto, architettura-scultura”.

 

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